In principio c’era una parola, nuova declinazione attorno al femminile
“Femminismo” è la parola dell’anno. Parola vessillo, baluardo, argine, rivolta. Risorta dalle sue ceneri per antagonismo a “femminicidio”, di nuova coniazione e di bassa lega, che non si è potuta aggirare. Una parola che fa male. Alle donne soprattutto. Perché le donne sanno che è il momento estremo di violenze altre, sottili, quotidiane… Perché le donne conoscono, da sempre, la fatica di essere donne, sanno che l’appartenenza a questo genere implica attivare difese, più o meno consce, più o meno organizzate, per difendere se stesse da una cultura fondatamente patriarcale, sostenuta attraverso lo stereotipo e la gerarchia tra i generi. Le donne hanno dovuto avviare percorsi che portassero alla definizione di sé stesse, hanno dovuto indagare l’archeologia, il mito, la storia per mappare i luoghi, i contesti e le forme in cui hanno dato espressione di sé. Semplicemente per dirsi, per avere una narrazione che è sempre creazione di un senso, genealogia che dona caratteri, tracciato che indica gli orizzonti verso cui muoversi. Le donne sono andate a caccia di biografie: quelle delle donne che hanno alzato la voce, spezzando la regola del silenzio inventata per loro, o contro di loro; quelle delle donne che hanno sfidato gli stereotipi del loro tempo, recuperando spazi prima preclusi al femminile. Ma hanno anche raccolto le storie di quelle che voce non hanno avuto, per potergliela prestare. Le donne rendono giustizia alle donne. Alzano la voce e fanno chiasso. Perché non si parli sempre di sesso debole, di subordinata, di vittima. Abbiamo agguantato questi temi con il pretesto di un calendario, quello per il 2018 della Kromatografica (in un progetto condiviso da Banca Agricola Popolare di Ragusa, Libreria Mondadori Modica, Ristorante La Moresca, Dearl’s Xerox Sicilia). Abbiamo consentito ad alcune voci di alzarsi, alla maniera delle donne e ciascuna secondo il proprio sentire. Perché non siamo tutte uguali e perché la violenza ha anch’essa espressioni differenti. Allora è bene sollevare un coro, come quello delle Eumenidi nella tragedia di Eschilo. Ilde Barone, Mavie Cartia, Khadra Yusuf, Miriam Pace, Alessia Scarso, Manuela Vargetto e Luciana Perego sono le artiste chiamate al ruolo di coreute. Siciliane per nascita o perché adottate da questa terra, sono donne abituate a indagare e a porsi domande, capaci di dare corpo, voce, azione alle risposte che emergono dentro di loro. Espressione di quella grammatica femminile che mai smette di generare narrazioni e segnali di senso. Donne creative e creatrici, che tramandano attraverso il gesto, il poiein, la sapienza antica. Attraverso le loro opere e le loro riflessioni – raccolte in un documentario curato da Gxlab – abbiamo creato un tracciato comunicativo quanto più prismatico, consapevoli degli angoli bui che non si potranno toccare, ma con la fiducia nella progressione dell’umano quando si apre, si domanda e trova le sue soluzioni.
Abbiamo invocato le Eumenidi, le “Benevole”, per sollecitare una risposta a una richiesta di giustizia e di risoluzione. Abbiamo toccato i temi duri della discriminazione delle donne nel lavoro, nel welfare, nelle opportunità che stentano a farsi pari, sino a spingerci, con resistenza e senza segnali di senso, nei meandri della violenza di genere, in tutte le sue espressioni. Con le artiste coinvolte nel progetto abbiamo individuato una possibile via per il cambiamento in un’educazione che liberi lo sguardo verso se stessi, verso l’altro, in un invito a coltivare la bellezza dell’alterità.
Da questa fatica è sorto il progetto Eumenidi, che rimanda nel titolo a divinità arcaiche, echi del periodo matriarcale. Esse provengono dalle profondità, agiscono alle radici per riportare l’ordine. A loro è affidata la cura e la prosperità della città, sono le tutelatrici della giustizia. Se a un tribunale è affidato il giudizio, a loro spetta la guida della città entro i margini del giusto. Non bisogna mai offendere la giustizia, neanche quando si gode di buona fortuna: non c’è partito, posizione, discendenza che possa giustificare il mancato rispetto delle persone più prossime e delle loro vite. Attraverso di loro inseriamo il principio matriarcale a fondamento dell’educazione, delle politiche lavorative e familiari, delle comunità. È stato un percorso quello compiuto dalle Eumenidi, come il nostro. In origine avevano un altro sembiante: erano Erinni, divinità giustiziere e vendicatrici dei delitti contro i consanguinei e gli ospiti. Tutelatrici dell’ordine “naturale”, insorgevano contro la violazione di ogni diritto, specialmente quando si offendevano con spargimento di sangue i diritti della famiglia. Terribili nell’aspetto, erano raffigurate come geni alati, con i capelli intrecciati a serpenti e in mano torce o fruste. Anche a loro, a quest’aspetto o-sceno e notturno della rabbia femminile vogliamo dare il giusto tributo. Alle urla strazianti, all’aspetto orribile di chi da dolore e rabbia è dilaniato. Nella tragedia di Eschilo erano inserite nel coro. Arrivavano sulla scena scatenando il terrore tra il pubblico, in-scenando l’orrore e l’angoscia per il delitto. Assediavano Oreste tormentandolo con danze selvagge e inni incatenanti. Neppure gli dei potevano sottrarsi alla loro furia. Nelle Eumenidi si assiste a uno scontro tra matriarcato, che tutela le leggi di natura, e il patriarcato, rappresentato dalle divinità che tutelano, per scopi personali, gli uomini che si sono macchiati di delitti. L’epilogo della tragedia è un dialogo serrato tra Atena e le Erinni. Tra la dea, nata dalla testa del padre ed espressione del femminile che ha aderito al principio patriarcale, e i demoni, tutelatrici del diritto naturale e di cui la dea teme la vendetta. Atena riesce a convincerle con l’argomentazione razionale a non considerarsi sconfitte se non possono esercitare la vendetta: l’istituzione dell’Areopago, un tribunale che giudicherà questi delitti, eserciterà un’azione civilizzatrice, porterà con sé ordine e giustizia, salvando l’uomo dal caos di una violenza che si perpetua. A loro toccheranno eterni onori e una nuova sede del loro culto nel sottosuolo dell’Acropoli di Atene: d’ora in avanti il loro compito sarà quello di rendere prospero il paese e di far scomparire l’empietà. Patriarcato e matriarcato giungono a un compromesso. Le Erinni si trasformano così nelle Eumenidi, le “Benevole”, dispensatrici di prosperità e ordine: il principio matriarcale posto a fondamento designa la via del cambiamento. A loro, dal sottosuolo, dalle profondità che sono radice e nutrimento, toccherà garantire protezione. Cambiando i prerequisiti culturali, non ci saranno eventi che richiederanno giustizia e vendetta, che sono sempre reazioni succedanee, che non ripagano il dolore o le esistenze violate.
Rinunciando a fare dell’identità sessuale e del genere una categoria, occorre lasciar venire alla luce l’atto di cura di sé, dell’altro e della propria comunità, che è tanto femminile quanto maschile: la “cura” insieme al pensare, nominare, praticare e vivere altrimenti la realtà, è il primo, imprescindibile gesto di libertà.
Una mostra raccoglierà le opere delle artiste nella varietà dei linguaggi tra pittura, fotografia e scultura; le loro riflessioni scorreranno nel documentario, mentre le parole insieme alle immagini saranno raccolte nel calendario. A queste voci si aggiungerà quella della cantautrice Matilde Politi nella serata inaugurale che avrà luogo ad Ispica, venerdì 5 gennaio alle 19.00, presso l’ex Chiesa della Sciabica.